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DONNE PERSE(PHONE)

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Un 25 novembre all’insegna del teatro con:

DONNE PERSE(PHONE)

voci di donne contro la violenza sulle donne

di Annalisa Venditti

Al termine della rappresentazione teatrale, la presidente dell’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS, illustrerà le attività e le finalità dell’Associazione.

Grazie a Paola Sarcina e a tutte le DONNE PERSE(PHONE) per averci inserito nel programma di sala e per aver previsto un spazio “in scena” anche per noi!

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NINA, il romanzo di Irene Wolodimeroff

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IN TUTTE LE MIGLIORI LIBRERIE DA MARTEDÌ 29 NOVEMBRE 2016

 Due amiche si ritrovano dopo tanti anni a casa di amici comuni in una tenuta di campagna alle porte di Roma.

Qui riscopriranno la loro forte amicizia e un manoscritto che le coinvolgerà in una storia, quella di Nina, quinta di cinque figli nati dal matrimonio di una ricca marchesa romana, amante dell’arte, della cultura e soprattutto dell’idea del comunismo anni ’70, ed il principe Nikolay la cui famiglia era fuggita da Mosca nel 1917 lasciando ogni bene.
Leggendo il manoscritto capiranno ben presto che la storia di Nina non è la storia di una famiglia, ma il racconto di una vita, il cammino archetipico che ognuno fa per scoprire se stesso.
L’infanzia di Nina è senza amore, cresce temendo il mondo e le persone, quello stesso mondo e quelle stesse persone che le avevano causato dolore. Vive la sua vita sempre nascosta, facendo ciò che sarebbe stato giusto fare, sempre schiava della paura del dolore, subisce l’attrazione del male, lo abbraccia, si lascia umiliare. Quello di Nina è un percorso vero dentro l’inevitabile, fino a riconoscere quelle emozioni che per anni aveva dovuto nascondere a se stessa, chiuse in fondo all’anima e di cui avrebbe potuto liberarsi solo affrontandole.

Presentazione di NINA – Libreria NoteBook – Auditorium Parco della Musica – Roma 29/11/2016
Ho visto Nina volare
Presentazione di NINA – Teatro Arciliuto – Roma 17/01/2017

Quando una donna deve DIFENDERSI

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  • Cosa puoi fare quando sei in un parcheggio deserto e hai la netta sensazione che qualcuno ti stia seguendo?
  • Cosa puoi fare quando hai davanti un pazzoide che ti minaccia con una siringa infetta?
  • Cosa puoi fare quando qualcuno cerca di incastrarti nello stretto spazio di una cabina d’ascensore?
  • Cosa puoi fare quando ti trovi chiusa in una stanza con un individuo potenzialmente pericoloso?
  • Cosa puoi fare quando…

Ma, soprattutto, come puoi evitare di trovarti in simili, sgradevoli situazioni?

Questo libro è dedicato alle donne.

Donne che si possono trovare in situazioni sgradevoli, potenzialmente pericolose, senza poter contare sull’aiuto di nessuno.

Eva Kant si libera di chi la minaccia con metodi diabolikamente originali… ma che come ammette lei stessa – funzionano solo nei fumetti. Così, in queste pagine, comincerà col fornire tutta una serie di consigli per evitare le situazioni “a rischio”. La prevenzione o, meglio, una saggia percentuale di prudenza, riduce notevolmente i rischi. Ma non sempre è sufficiente. Per questo Eva proporrà anche una panoramica di tecniche di difesa e contrattacco. Sempre ricordando come l’uso della forza sia l’ultima chance ma anche che, quando è indispensabile, è bene sapere quali metodi impiegare.

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“Sei ore e ventitré minuti” di Domitilla Shaula Di Pietro

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Nell’ambito della Campagna Permanente contro la Violenza di Genere, l’AssociazioneTi Amo da Morire ONLUS”, martedì 15 novembre 2016, presso il Teatro ARCILIUTO, in Roma, ha presentato il libro “Sei ore e ventitré minutidi Domitilla Shaula Di Pietro, edito da Fanucci e distribuito in tutte le librerie laFeltrinelli, cui è seguito uno spettacolo musicale.

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La serata è stata introdotta della presidente dell’Associazione avv. Serenella Sèstito che ha illustrato gli scopi e le iniziative di Ti Amo da Morire ONLUS, ponendo l’accento soprattutto sull’utilità assoluta del numero verde 800 642328, sportello d’ascolto legale e/o psicologico gratuito che garantisce l’anonimato a chi vi si rivolga.

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La stessa, ha poi presentato, indossato da Rossella Seno, il Gilet prodotto da Vegan Life Italy, il nuovo brand di riferimento per il vestire sano e consapevole, vegano ed etico, nato dalla riflessione e dall’analisi delle statistiche circa il fenomeno del femminicidio, inteso con l’ampia accezione di violenza di genere, in Italia. I tre tessuti che lo compongono hanno funzioni di ignifugicità, cioè non sono infiammabili, resistono al taglio, allo sfregamento con oggetti metallici e anche agli acidi corrosivi. Il Gilet è dotato anche di un fischietto, utile a richiamare l’attenzione in caso di aggressione o di fuga dall’aggressore, ed è riconosciuto in tutto il mondo come segno distintivo di pericolo assoluto.

Successivamente, la presidente della ONLUS Serenella Sèstito, ha mostrato il numero 42 del Grande Diabolik, il quadrimestrale appena uscita in edicola, che contiene una pagina dedicata allo sportello d’ascolto di Ti Amo da Morire ONLUS, ringraziando Mario Gomboli, direttore editoriale di Diabolik, e tutta la diabolika redazione per aver reso Eva Kant testimonial dell’Associazione. La splendida compagna di Diabolik dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, proprio dal sito web dell’associazione – www.tiamodamorireonlus.it – metterà in guardia le rappresentanti del sesso femminile dai possibili pericoli che si nascondono negli ambienti quotidiani, dettando regole di prevenzione e, nel caso fosse troppo tardi per prevenire, consiglierà come ridurre i danni. Eva Kant, che non si perde mai d’animo, insegnerà le tecniche di autodifesa, di volta in volta, a chi vorrà seguirla.

A seguire, Domitilla Shaula Di Pietro ha introdotto il suo romanzo autobiografico, rendendo partecipe il pubblico tanto delle emozioni provate in quelle maledette Sei ore e ventitré minuti quanto poi dei suoi progetti futuri a sostegno di chi, come lei, si è trovata a vivere episodi violenti e di chi, attraverso la sua sensibilizzazione sull’argomento, potrà evitarli. L’attore e regista Claudio Castana ha letto, interpretandolo, un brano del libro.

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Il clou della serata si è avuto nel momento in cui la presidente ha chiesto a Domitilla Shaula Di Pietro di voltare le spalle al palco e non girarsi: è stato il momento di una sorpresa inaspettata… dal pianoforte sono cominciate a risuonare delle note e una voce, in parte volutamente camuffata, ha intonato una canzone “… io sono così, una che piange allegra, una che soffia le nuvole lontano, lontano perché piova di meno…   …. io sono così come pioggia col sole… … malgrado te, l’amo ancora la vita!”. Non c’è voluto troppo tempo che Domitilla riconoscesse quella voce che cantava “Shaula”, la splendida canzone che Erminio Sinni aveva scritto per lei e che parla della sua sofferta vicenda, che non le impedisce, nonostante tutto, di continuare a vivere e amare la vita.

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La commozione è stata tantissima e ha toccato il cuore di tutti i presenti… Grazie Erminio Sinni!

Claudio Castana, dopo aver parlato di sé e delle iniziative che lo vedono coinvolto nel sociale, ha commentato il video della Federazione Italiana Canottaggio che, attraverso la regata maschile e femminile open “Via le Mani”, intende sensibilizzare circa il fenomeno del femminicidio e la violenza di genere. La manifestazione si è tenuta presso il Circolo Canottieri Roma.

La serata è continuata con “Uomini che amano le donne”, uno spettacolo musicale che ha visto grandi artisti quali Ernesto Bassignano, Roberto Kunstler, Giovanni Samaritani, Lino Rufo, Marco  e Yuki Rufo alternarsi tra musica e poesia.

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Ringraziamenti sentiti vanno al Teatro Arciliuto in Roma, nelle persone di Enzo e Giovanni Samaritani insieme a Daniela Valle Samaritani, che hanno reso possibile la realizzazione di questo evento mettendo a disposizione la location a titolo gratuitol’ingresso, infatti, è sempre libero!

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Grazie anche a Simonetta Bumbi di Bumbi Mediapress.

Ti Amo da Morire ONLUS” crede che sia possibile fare opera di prevenzione attraverso la cultura e per questo motivo promuove iniziative artistiche e culturali quali mostre, concerti, rassegne, presentazioni librarie, appuntamenti didattici ecc…

 

La Presidente

avv. Serenella Sèstito

 

Teatro ARCILIUTO – Piazza Montevecchio, 5
00186 Roma – Tel. +39 06 6879419
http://www.arciliuto.it
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http://www.tiamodamorireonlus.it
twitter: @tiamodamorire1
facebook: Associazione Ti Amo da Morire ONLUS

 

 

La storia del teatro Arciliuto

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Il Teatro Arciliuto è situato all’interno di Palazzo Chiovenda, antica dimora cinquecentesca in Piazza di Montevecchio. Realizzato nei primi anni del XVI secolo accorpando strutture abitative preesistenti su progetto dell’architetto Baldassarre Peruzzi, discepolo di Raffaello, l’edificio poggia sopra le antiche strutture di una villa romana del II secolo, i cui resti sono ancora visibili nei sotterranei del palazzo. Nel fervore della Roma rinascimentale, che proprio allora risorgeva a nuovi fasti dopo secoli di decadenza, non era insolito da parte degli architetti utilizzare come fondamenta per i nuovi palazzi in costruzione le rovine dell’antica Roma imperiale, spogliandole dei marmi a beneficio delle famiglie nobili del tempo. Il Peruzzi non faceva eccezione, lo testimoniano le delicate colonne in marmo pregiato che sorreggono i soffitti a vele incrociate del Salotto Musicale: preziosi reperti di epoca romana sormontati da capitelli in travertino di foggia cinquecentesca.
Leggenda vuole che il palazzo fosse la residenza romana dei signori di Montevecchio, originari di Urbino, e quindi la prima dimora di Raffaello nella città dei papi quando l’artista urbinate, ancora giovanissimo ma già celebre, lasciò la città natale per mettere la sua arte al servizio di Papa Giulio II. Tesi suggestiva che sembrerebbe confermata da un particolare: i locali situati a pianoterra di Palazzo Chiovenda, affacciati sulla piazza di Montevecchio e illuminati internamente da una chiostrina, presentano effettivamente un piccolo affresco a lunetta raffigurante una Madonna con Bambino che certamente è di scuola raffaelliana. Quegli stessi locali, oggi il Salotto Musicale del Teatro Arciliuto, sono da sempre noti nel quartiere come “studiolo d’artista”. Non c’è da stupirsi se qualcuno si spinge persino a dire “studiolo di Raffaello”.
Questa la leggenda. La verità storica, tuttavia, è altra cosa.
Certo è che Raffaello, tra il 1516 e il 1517, lavorò alle decorazioni della vicina chiesa di Santa Maria della Pace, opera cui partecipò anche il Peruzzi. Ma a quel tempo l’artista non poteva essere ospite dei suoi aristocratici concittadini. Questo perché Piazza di Montevecchio non deve affatto il suo nome al casato dei Conti di Montevecchio, i quali con ogni probabilità non vi hanno mai messo piede. Il “monte” di cui si parla è in realtà il Monte di Pietà, istituito da Papa Sisto V nel rione Ponte e in seguito trasferito altrove. Quando, nel 1752, per volere di Clemente VIII la pia istituzione venne spostata nei pressi del ponte gianicolense, la piazzetta che delimitava il luogo dove sorgeva l’antico Monte divenne per tutti “piazza del Monte vecchio”, da cui Montevecchio.
Sebbene non sia mai stato abitato dai Conti di Montevecchio e difficilmente abbia ospitato lo studiolo di Raffaello, il palazzo disegnato dal Peruzzi ha conosciuto nel corso dei secoli numerosi proprietari ed è passato di mano in mano, in una successione di epoche e mode diverse e di diversi signori che di volta in volta hanno vissuto all’interno delle sue mura. L’ultima casata, i Chiovenda, alienò il palazzo nella prima metà del ‘900. Da allora la proprietà fu frazionata, i locali interni destinati alle utilizzazioni più disparate. Le delicate colonne romane e l’affresco della Madonna con Bambino furono muti testimoni prima di una gelateria, poi di un laboratorio di falegnameria. Tutto questo fino al 1966.
Nell’ottobre del 1966, un poeta e moderno cantastorie di origine napoletana sta cercando un luogo a Roma dove coltivare serenamente la sua arte e mettere finalmente radici, dopo tanto viaggiare in giro per il mondo.
Ecco come Enzo Samaritani racconta nelle sue memorie il suo arrivo a Piazza di Montevecchio:

Traversammo Piazza Navona assolata. (…) Percorremmo Via di Tor Millina, sostammo qualche minuto in Piazza della Pace per permettere il passaggio di un carretto pericolosamente stracarico di anticaglie. Con quel sole, la splendida chiesa di S.Maria della Pace era quasi abbagliata, dava l’assurda sensazione di stare guardando un fondale di teatro sospeso nell’aria.
Imboccammo il contorto Vicolo dell’Oste. Il sole giocava con gli angoli dei tetti e proiettava a terra triangoli di ombre. Passammo di fronte alla Trattoria del Carbonaro e ai cadenti palazzi anneriti dal tempo. A sinistra, l’ex-palazzetto di giustizia di Sisto V. Accanto a questo un altro più stretto, con tanto di nome di proprietà: “Casa di Pietro Baronchelli”. Poi un altro ancora, più nobile di architettura e di grandezza, che dava il nome anche al piccolo slargo nel quale arrivammo: Piazzetta di Montevecchio, pare dal nome di un casato di duchi o conti. Era quello il posto!
Curioso. Erano passati perlomeno quindici anni dall’ultima volta che avevo fatto quel percorso, mi ricordavo l’allegro mercatino della frutta e verdura che si vedeva prima del Vicolo dell’Oste. Ero, allora, approdato proprio in quella piazzetta di Montevecchio e mi ero fermato a guardare quel palazzo, proprio come stavo facendo ora con Paolo.
La sensazione che fosse destino che io mi trovassi lì era fortissima. Quel palazzo determina la piazza, con tre portali alla base che accompagnano il declivio della stradina che conduce alla Via dei Coronari e scivola dolcemente verso Tor di Nona dove anticamente, prima della costruzione dei muraglioni del Lungotevere, c’era l’approdo di piccole barche per la pesca.
Quei tre portali rappresentavano non solo una logica architettonica, ma soprattutto l’aspetto organizzativo della vita sociale di una certa nobiltà del quindicesimo secolo. Il portale più piccolo, occupato ora da un laboratorio di restauro, era l’ingresso privato dei signori: attraverso un corridoio con volta a botte e vele incrociate, portava sia alla scala per il piano nobile che all’impluvio centrale del palazzo. Il portale successivo, più grande, era l’ingresso di rappresentanza che si apriva solo per i grandi ricevimenti e l’ultimo, ancora più grande, utilizzato ora come garage per i condòmini, era un tempo la rimessa delle carrozze e la stalla per i cavalli.
Non che oggi sia cambiato niente: a distanza di cinquecento anni, le case borghesi contemporanee si costruiscono ancora con lo stesso criterio. Doppio ingresso, uno padronale e l’altro di servizio, cantina e posto macchina.
Paolo mi guidò nella bottega del restauratore, un lungo corridoio stracolmo di tavolacce vecchie, cornici appoggiate alle pareti, modelli per intarsio, scalpelli, pialle e piallette, martelli e tanta polvere e segatura dappertutto. L’artigiano, un uomo piccolo e magro dagli occhi vivaci, ci spiegò che il suo locale era tutto lì, ma che oltre la parete in fondo c’erano altre due stanze molto ampie, occupate da un falegname.
Andammo a cercare il falegname.
Questa volta entrammo dal portone principale. Nell’androne sentimmo il ronzio di una sega circolare provenire da una piccola porta a sinistra. Entrammo. La prima cosa che vidi, quasi sommerse da scheletri di mobili e tavole piallate, furono tre colonne romane. Reggevano degli archi e delle volte a vele incrociate. Si intravedeva, a sinistra, una grande finestra incorniciata di travertino e protetta da un’antica inferriata.
Avanzammo con difficoltà tra un mobile e l’altro per raggiungere l’altra stanza, guidati dal rumore della sega. Una serie di lunette decorava il soffitto a volta unica. A sinistra, un grande arco sorretto anch’esso da colonne apriva a un’ampia nicchia, soffocata di tavole grezze e pezzacci di legno.
Il falegname ci accolse quasi con sollievo. «Sono stanco di fare questo mestiere» disse, «si guadagna troppo poco, e la fatica è tanta. E poi», aggiunse, «sono solo. Non ho nessuno cui lasciare la falegnameria».
«Sarebbe disposto allora ad affittare il locale? », chiese Paolo.
L’altro aprì le braccia.
«Beh, se mi date una pensione… »
Uscimmo di nuovo al sole. Io non stavo più nella pelle. Si poteva fare! Quel palazzo era perfetto. Dopo tanto cercare, sentivo per la prima volta che potevo creare il mio giardino, con tanto di fiori-musica e di alberi-poesia. Un giardino con siepi e prati ben potati, con aiuole di rose, primule, viole e girasoli. Un giardino pubblico, dove chiunque potesse andare a respirare una boccata di aria buona (…).

 

da“Il Pane del Girasole”, di Enzo Samaritani.

Il Teatro Arciliuto viene inaugurato l’11 novembre 1967. Da allora, Enzo Samaritani porta avanti la sua ricerca dedicata alla bellezza, insieme a un’appassionata campagna in difesa delle lingue e dei dialetti.

Ti Amo da Morire ONLUS sottoscrive il Codice di Autoregolamentazione della V.E.L. Vivere Emozioni Libere

7 novembre 2016 – Si è svolto a Roma, presso la Camera dei Deputati, Sala Aldo Moro, il Seminario Nazionale della Campagna V.E.L. Vivere Emozioni Libere Par Condicio Emozionale”.

La Campagna di sensibilizzazione ideata da Paola Monica Monaco, presidente nazionale dell’AEM ITALIA (Associazione Emotional Manager) sviluppata in collaborazione con Mina Cappussi, direttore della testata giornalistica online UMDI (Un Mondo di Italiani) e promossa dall’AITEF ONLUS (Associazione Italiana Tutela Emigranti e Famiglie), presidente Giuseppe Abbati, AICCRE ONLUS (Associazione Italiana Consigli Comuni e Regioni d’Europa), presidente Giuseppe Valerio, AEM presidente Giovanni Mattiaccio, CENTRO STUDI AGORA’ (Associazione di Promozione Sociale) coordinatrice nazionale Sabina Iadarola, MATESE ARCOBALENO (Associazione ONLUS per la Tutela dell’Ambiente) presidente Pier Paolo Monaco.

Obiettivo della Campagna è quello di rendere consapevoli Cittadini e Istituzioni sulla necessità di includere tra i Diritti Umani Fondamentali il DIRITTO DI EMOZIONE.

Il malessere emotivo, frutto di una “non consapevolezza” del ruolo delle emozioni nelle scelte di vita, e quindi nella quotidianità, è preludio di dipendenze ma anche di malattie e di disturbi comportamentali, causa spesso di violenza di genere.

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A tal fine, l’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS, nella persona della sua presidente Serenella Sèstito, ha sottoscritto il Codice di Autoregolamentazione della V.E.L. Vivere Emozioni Libere.

Non essendo stato previsto un intervento in voce dedicato all’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS, la presidente, attraverso le pagine del sito web della sua Associazione, intende esprimere gratitudine a Mina Cappussi per averle dato modo di presenziare e di aderire alla ben condivisibile iniziativa ed evidenzia un proprio spunto di riflessione:

V.E.L. sta al Vivere Emozioni Libere esattamente come VEL sta all’avverbio latino che nella sua accezione disgiuntiva sta a significare “o, oppure, ossia”, e volendone cogliere appieno il senso si può giungere a vedervi un’alternativa con la sua intrinseca SCELTA, la scelta, appunto, di   Vivere Emozioni Libere e quindi il ritorno al V.E.L.

È traendo spunto dalle riflessioni che precedono che l’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS lancia, in questo contesto, la frase #amamivivimioppurelasciami.

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La frase è sintetica e comunicativa, la scelta della lingua inglese è attuata al fine di poter partecipare ad una comunicazione globale, la violenza di genere non conosce confini linguistici.

L’HASHTAG contraddistingue l’immediatezza nella comunicazione attuale, l’indicizzazione del concetto…

L’uso del colore giallo vuole attirare l’attenzione sulla possibilità di scelta, sul libero arbitrio che è proprio di ogni persona, il sottolineare che si può sempre scegliere di compiere il “gesto d’amore” di lasciare andar via.

Il fiocco rosso, che contraddistingue la violenza di genere, una volta compiuta la scelta di lasciare andar via, di non trattenere con la forza, di non esercitare un possesso coercitivo, si piega al punto giusto, trasformandosi in un cuore rosso, che non indica più un gesto violento, bensì un “gesto d’amore”.

Serenella Sèstito

Domitilla Shaula Di Pietro – “Sei ore e ventitré minuti”

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Martedì 15 novembre 2016 alle ore 20.30

nell’ambito della Campagna Permanente contro la Violenza di Genere,

l’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS presenta:

Domitilla Shaula Di Pietro

e il suo libro

Sei ore e ventitré minuti”.

L’autrice, presente in sala, presenterà il suo romanzo autobiografico e l’attore e regista Claudio Castana ne interpreta le atmosfere.
Domitilla Shaula Di Pietro è nata e cresciuta a Roma. Si sposa poco più che ventenne e dedica la sua vita ai figli. A quarant’anni diventa pittrice quasi per caso, riscuotendo fin da subito un buon successo. Dopo due sceneggiature scritte per il cinema, Sei ore e ventitré minuti è il suo primo romanzo.
a seguire:

“Uomini che amano le donne”

Canzoni e Poesie con:
Ernesto Bassignano
Roberto Kunstler
Giovanni Samaritani
Lino Rufo
Marco
Yuki Rufo

Introduce Claudio Castana

Dalle 20.30 alle 21.30 apericena con buffet €10,00 (è l’unico provento destinato al teatro che offre la location a titolo gratuito) e l’ingresso è libero!

Teatro ARCILIUTO – Piazza Montevecchio, 5
00186 Roma – Tel. +39 06 6879419
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twitter: @tiamodamorire1
facebook: Associazione Ti Amo da Morire ONLUS

Scopo dell’associazione è svolgere finalità di solidarietà sociale nei confronti di persone svantaggiate, attraverso uno “Sportello d’Ascolto Legale e/o Psicologico – Ti ascolTiAmo da Morire” dedicato a tutte le donne che si trovino sul territorio nazionale e che, al di là della loro condizione sociale, culturale ed economica, subiscano, sia in ambito familiare che extrafamiliare, qualsiasi tipo di maltrattamento fisico o psichico quali ad esempio, violenza, sfruttamento, stalking, mobbing familiare, emarginazione e discriminazione, atti questi spesso preludio del ben più grave FEMMINICIDIO, nonché ai minori, appartenenti al nucleo familiare in sofferenza, vittime, sia pur in modo riflesso, di qualsiasi tipo di maltrattamento fisico o psichico nella loro condizione di soggetti svantaggiati.
Lo sportello d’ascolto fornisce consulenze qualificate e supporto tecnico da parte di avvocati, psicologi, sociologi e assistenti sociali, al fine di individuare i loro bisogni e fornire le prime risposte, mediante il numero verde 800-642328, in questo ambito l’associazione si propone, inoltre, di indirizzare i soggetti sottoposti a maltrattamenti, che a essa si rivolgono, in caso di necessità e al fine di sottrarle all’imminente pericolo, verso associazioni similari fornite di strutture protette per l’accoglienza, che avrà cura di individuare, siano esse private o pubbliche, sia in ambito regionale quanto in ambito nazionale.
L’associazione garantisce la gratuità dei servizi offerti e l’anonimato.

CERCA LA PAGINA, TROVA L’AIUTO!

diabolikviolenzadonne-2016Eva Kant©Astorina srl

È arrivato il mese di novembre e Il Grande Diabolik n.42 è finalmente in edicola con la pagina dedicata allo SPORTELLO D’ASCOLTO dell’Associazione Ti Amo da Morire ONLUS!

Mario Gomboli e tutti quelli della redazione di Diabolik sanno bene che il 25 novembre è la GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE ed è per questo che hanno scelto questo mese per consentire alla nostra diabolika Eva Kant di diventare Testimonial di Ti Amo da Morire ONLUS.

Diabolik è contro la violenza sulle donne e SOStiene TiAmo da Morire ONLUS!

Anche tu, insieme a Eva Kant puoi dire no alla violenza contro le donne, cerca la pagina che troverai nel Grande Diabolik n.42  fatti uno scatto facendo vedere per bene la pagina e inviacelo a tiamodamorireonlus@gmail.com e scrivi “acconsento alla pubblicazione sul sito di Ti Amo da Morire ONLUS” saremo lieti di pubblicare la tua foto sul nostro sito!

Continua a seguirci perché a breve Eva Kant ce ne farà vedere delle belle…

LA CATASTROFE COME ORIZZONTE DEL VALORE – Saggio di Giuseppe Limone

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Se il diritto può nascere dopo la catastrofe 1, i valori non possono che precederla. La catastrofe come orizzonte del valore2non è solo il mero esercizio di rigore teoretico o l’esempio di pensiero cognitivista (o, come scrive l’autore, persino buonista) di chi intende dare una definizione dei valori. L’autore, col suo percorso, dimostra l’esistenza inconfutabile delsentimento di percettibilità dei valori che viene alla luce nei momenti di maggiore pericolo per la Lebensform. Le approssimazioni che Giuseppe Limone compie per arrivare al profondo della nozione di catastrofe valgono, per trasposizione, per la sua opera: così come il termine catastrofe può indicare – singolarmente o complessivamente – l’epocalità dell’evento, l’interruzione qualitativa della Forma di vita, l’identità data dalla sorte di un pericolo comune e, infine, il significato simbolico che cattura gli eventi di risonanza emozionale; così l’intero scritto tocca strati contigui appartenenti a diversi livelli ermeneutici. Ilprimo livello, definibile come storico-filosofico, che dall’età moderna arriva alla contemporaneità, ha come punto focale le diverse prospettive dalle quali origina il pensare sociale degli autori citati (non solo Jean-Jacques Rousseau, Antonio Rosmini e Simone Weil, ai quali sono dedicati interi paragrafi, ma anche Hobbes, Locke, Grozio, Feuerbach, Heidegger, Husserl, Sartre, Nussbaum, Bauman; solo per citarne alcuni). Il secondo livello, che espone alla luce le interruzioni della qualità della vita – ovvero le catastrofi – che hanno accompagnato l’umanità fin dall’acquisizione di un pensiero intelligente. Il terzo livello, portato alla luce con maggiore incisività nella parte finale del testo, illustrante il sentimento di pericolo comune generato da una errata percezione della responsabilità propria – e di tutti – che scaturisce dalla libertà. Il quarto livello – ovvero della sorte comune – in cui si dà realizzazione al titolo dell’opera, dimostrando la funzione assiologicamente positiva del male comune che si scatena nei confini identitari. Ma è con un ulteriorequinto passo che si rivela l’intento dell’autore: in questo spazio ermeneutico, il lettore non è solo un mero fruitore, è egli stesso il «vicario3» su cui si abbatte, per sostituzione simbolica, l’energia esortativa del testo. Solo in quest’ultimo punto profondo del pensiero di Limone, il lettore si accorge di essere al fianco dell’autore o, meglio ancora, di essere seduto sul medesimo ramo che qualcuno e qualcosa stanno segando. È proprio con quest’ultimo passo che si va ben oltre il cognitivismo e ilnoncognitivismo per approdare al falsificazionismo etico, il quale in modo apofatico dimostra l’esistenza dei valori e la loro percettibilità. Partendo proprio da quest’ultimo fronte, cioè da quello falsificazionista – che, tradotto in altri termini, equivale a dire: “io non so definire i valori, ma percepisco cosa non si deve fare per salvaguardare la Forma di vita alla quale appartengo” –, il problema che si apre è quello del coefficiente di percettibilità dei valori stessi. Esiste un pericolo concreto nel misconoscimento e Limone, fra le righe, avverte i suoi stessi detrattori: il lettore disattento alla sua stessa sorte, l’intellettuale che continua ad osservare l’Apocalisse in televisione pensando alla critica da muovere il giorno dopo a San Giovanni, l’accademico che chiededi essere valutato per il dove e non per il cosa abbia scritto, il burocrate che intende ridurre la persona a una mera pratica da sbrigare. Tutto si muove e si condensa alla scala dell’umano, del concreto, del reale. Nel mondo macchinico fotografato dall’autore – mondo dell’impersonale che obbliga a guardare alla terza persona il Tu e che ci seduce a chiedere di essere privati dell’umano – il Mickey Mouse di Benjamin4, dotato da noi stessi persino dell’a-temporalità e dell’a-spazialità, emblema della spersonalizzazione e della de-umanizzazione, ci accompagna sincronicamente nel presente e ci attende diacronicamente dal futuro passeggiando sul crinale che segna il punto di non ritorno oltre il quale la Forma di vita implode.

Fonte: Società Filosofica Italiana – Sezione di Sulmona “Giuseppe Capograssi” di Pasquale Viola


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